“L’AMBRUSIN E LA SEVERINA” di Wilma Vigano

07/06/2022

L’Ambrogio e la Severina erano i miei vicini di destra. A sinistra c’erano “i signori Vitali” e già questo la dice lunga. A sinistra ci andavo “in visita”, a destra quando cavolo mi pareva.

Entrambe le coppie erano avanti con l’età, senza figli, e con tanto tempo da dedicarmi quando le baby-sitter non si erano ancora mai sentite nominare.

L’Ambrusin era piccolo, grigio e magro come un chiodo, mentre sua moglie, la Severina, per la legge di contrapposizione era tutta tonda e colorita. Lui, per quanto mi riguardava, era nato pensionato; lei, casalinga da sempre e per sempre.

La Severina era nota nel palazzo perché soleva, di tanto in tanto, “dar fuor di matto” lanciando anatemi e ingiurie contro la Vergani del piano di sotto che le “mandava su i fuochi”. E questa visione degli inferi di piazza Diaz a Sesto San Giovanni mi accompagna ancora adesso. La Vergani dal canto suo la mandava “a dà via i ciapp”.

Quando partivano le querelles con la Vergani mia mamma diceva allargando le braccia: “E’ per via dell’età!”, ma mia nonna che aveva suppergiù gli stessi anni non si era mai comportata così. Non capivo.

L’Ambrusin era stemegno. Quando la mattina procedeva alla cerimonia pubblica della rasatura ( pubblica nel senso che chi entrava in casa poteva assistervi perché era tutto apparecchiato sul tavolo del soggiorno), metteva da parte le setole del pennello che malauguratamente si staccavano per ricostituirne uno, solidale si direbbe oggi, a tempo debito. L’Ambrusin non è stato senz’altro responsabile del cambiamento climatico.

La sera dopo cena, quando ancora non c’era né la televisione né Carosello, mi era permesso un quarto d’ora di bisca a casa dell’Ambrusin. Si giocava a Rubamazzetti o alla Peppa Tencia con le piccolissime carte della pubblicità della Magnesia San Pellegrino. Dicevano di usare quelle carte per permettermi di maneggiarle meglio, ma io sapevo che erano un regalo del farmacista.

L’Ambrusin tossiva spesso e ad un certo punto i miei genitori, con la scusa dei compiti e delle lezioni, cominciarono a vietarmi le visite serali. Al solito, io non capivo.

Poi una notte, proprio nel mezzo della notte, dei colpi sulla porta e un grido della Severina svegliano tutta la famiglia: “Verdiana! Verdiana! Aiuto!” (Verdiana era mia mamma), la quale si danna ad infilarsi un grembiule con maniche lunghe (solo molto tempo dopo ho capito perché) e corre in soccorso della vicina dicendo a mio papà: “Oddio, adesso muore!”.

Io, che come al solito non avevo capito niente, sono rimasta paralizzata a letto e solo dopo un bel po’ ho avuto il coraggio di chiedere a papà: “Ma cos’ha l’Ambrusin?”. “Ha la tubercolosi”. Fine della spiega.

Intanto dall’altra parte si sentivano affanni, rumori, tramestii e scompigli di ogni genere, mentre io, impietrita a letto, mi facevo un film di morti, cadaveri e funerali condominiali senza sapere a che santo votarmi. Ecco, il mio “tempo sospeso” della tubercolosi è stato quello. Abbandonata nella notte, senza la mia mamma che mi consolasse, con la tubercolosi (ma che roba era?) al di là della parete. Un tempo sospeso che mi ha fatto per la prima volta incontrare la morte. E dici niente?

A un certo punto è arrivata l’ambulanza e l’Ambrusin è sparito per mesi in “sanatorio”, altro luogo misterioso. La mamma quella sera, quando è tornata a casa, si è lavata tutta come non mai e io il giorno dopo sono stata portata dal dottore che mi ha auscultato i polmoni con un coso freddo collegato con i tubi di gomma alle orecchie.

Quando poi, dopo qualche tempo, la scuola ci ha portate in pullman a Villa Marelli a fare la schermografia, i miei genitori erano contenti come Pasque. E lo ero anch’io, perché si saltava una giorno di lezioni con l’unico impegno di abbracciare in canottiera una macchina fredda facendo attenzione di tenere la catenina della Madonnina in bocca.

L’Ambrusin è poi tornato a casa dopo un sacco di tempo per continuare a stare con la Severina che si è fatta passare i “grilli” per la testa. Io nel frattempo ero diventata grande e non giocavo più alla Peppa Tencia. Abbiamo anche cambiato casa e per anni non ho più avuto loro notizie.

Poi, per puro caso, dopo almeno trent’anni, son venuta a sapere che l’Ambrusin era morto, ormai centenario, e non certo per tubercolosi. E sono andata al funerale che, per sue precise volontà, era stato organizzato alla vecchia maniera: con la carrozza nera con fiocchi e pennacchi, i bambini dell’asilo con la mantellina, il corteo che si snodava lungo tutta quella che era nel frattempo diventata una città, e soprattutto … con la banda!!! La musica per celebrare la fine di una vita vissuta fino in fondo in barba alla tubercolosi. Allora ho capito che il mio “tempo sospeso” era scaduto.

 

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