“Il dolore dello sradicamento” di Eugenio Borgna

26/04/2017

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Sono molto grato a Giorgio Besozzi dell’invito a svolgere alcune considerazioni sul tema del dolore dello sradicamento che non può non accompagnare ciascuno di noi nelle diverse situazioni della vita, e in particolare in quella contrassegnata dal destino della migrazione che incombe su tutte le persone, e sono sempre di più, costrette ad abbandonare le terre di origine. Le vediamo sugli schermi televisivi, e le incontriamo nelle nostre città, bambini e giovani, adulti e anziani, accomunati da sofferenze inaudite, da quelle del corpo e da quelle dell’anima; e non possiamo non sentirci chiamati a riconoscere queste sofferenze, e ad accoglierle nella loro umanità lacerata. Certo, sfuggire alla violenza e alla morte è la causa primaria delle migrazioni di oggi che si accompagnano poi a ferite dell’anima lancinanti. Si sale su questi barconi, o su queste navi, che rischiano ogni volta di naufragare, e la televisione ci dà immagini strazianti, alle quali magari ci si abitua crudelmente. Ma, nelle persone che si salvano, come non pensare ad altre lancinanti ferite dell’anima: come sono quelle che rinascono dal dolore dello sradicamento, della perdita del proprio linguaggio che le sprofonda in una disperata solitudine, e che si aggiungono al dolore del corpo, alle malattie e alla sopravvivenza. Ma le ferite dell’anima sono anche ferite del corpo: lo indeboliscono, lo rendono meno resistente alle malattie, come la tubercolosi, che nel mondo occidentale sono quasi del tutto scomparse.

Sì, ci si ammala più facilmente di malattie del corpo quando la nostra anima è insanguinata da un dolore dell’anima: come è questo emblematico dello sradicamento. Se si pensa alla importanza, che nella nostra vita assume la perdita della propria casa, e magari dei luoghi in cui si è vissuto a lungo, con conseguenti depressioni anche molto gravi, come non immaginare le conseguenze apparentemente ovvie e banali, e in realtà angoscianti, che la perdita della propria patria porta con sé. Quando incontriamo persone, che la violenza e la morte vicina hanno indotto a lasciare l’Africa, così vicina e così lontana, vorrei che si pensasse anche, e sono grato a Giorgio Besozzi che con il suo invito mi ha fatto pensare a queste cose, al dolore dello sradicamento, dell’essere divenuti estranei alla vita e al linguaggio delle terre, a cui si approda; ed è uno sradicamento che può portare, lo vorrei ripetere, ad ammalarsi: anche di tubercolosi. Grazie.

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