“MA LEI, COSA CI FA QUI?” di Michael Stevanin

30/04/2020

 

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Si pensa spesso di essere invincibili… soprattutto a 28 anni ma, nel mio caso, la tubercolosi mi ha fatto un bello scherzetto, se ci ripenso oggi. Provate a immaginare di svegliarvi una mattina per andare in ufficio o passare una giornata con gli amici e invece ritrovarvi al pronto soccorso perché non smettete di tossire sangue. Quella mattina e i 3 giorni successivi furono i peggiori della mia vita. La prima cosa che ti viene in mente è; “ho un tumore ai polmoni”. Quindi pensi che sia la fine di una breve vita che non hai vissuto al massimo. Ti rechi al pronto soccorso con la speranza che non sia troppo tardi e che un miracolo sia ancora possibile. Purtroppo, quella mattina, nonostante le radiografie dei polmoni non c’era alcuna certezza ma solo supposizioni. Cos’avevo? Trasferimento presso un ospedale fuori Milano per mancanza di disponibilità di letti a Milano. Peccato che fosse domenica e quindi avrei dovuto aspettare ancora un po’ prima di avere delle risposte. Finalmente dopo 36 ore passate in quarantena mi viene diagnosticata la tubercolosi. Quanto assurdo possa sembrare, ero sollevato all’idea che non fosse un tumore o qualche altra malattia incurabile. Non ero un esperto in materia ma mi risultava che la tubercolosi fosse curabile e questo da alcuni decenni ormai. Ero pronto a tornare a casa e seguire la cura. Peccato che l’ospedale dove mi trovavo non mi avrebbe lasciato andar via così facilmente. Il motivo era semplice; perché un 28enne in ottima forma fisica ha potuto contrarre la tubercolosi? Problemi di sistema immunitario? Come mai? E li, scattò il secondo atto di terrore… dovevo fare il test per l’HIV. Altre 36 ore da incubo, aspettando i risultati e cercando di ricordare se e dove avrei potuto contrarre la malattia. Grazie a Dio, il test era negativo. Cominciò finalmente la mia cura (2/3 pastiglioni al giorno) con un unico desiderio, dopo 6 giorni di incubo passati in quarantena: tornare a casa!! Non fu affatto così… ulteriori esami dovevano essere fatti per capire se fossi contagioso e a quali livelli. Dovevo fare una serie di 3 esami di prelievo di saliva, uno di seguito all’altro e spalmati su 3 giorni. Dovevano essere tutti e 3 negativi per poter tornare a casa. Peccato che 1 dei 3 era sempre positivo ‘boh?’ al punto di ritrovarmi ancora in quarantena dopo quasi 4 settimane. Alla quarta settimana mi fu comunicato che avrei dovuto essere trasferito con una ambulanza all’ospedale di Sondalo (esperti e specialisti della TBC). Quando arrivai a Sondalo, ebbi paura all’idea di rimanere rinchiuso in ospedale per sempre, visto che le medicine non sembravano funzionare bene, altrimenti sarei già tornato a casa. La prima sera ebbi la possibilità di conoscere i miei ‘compagni’ di reparto. La stragrande maggioranza era lì da mesi. Alcuni con bombole di ossigeno, tubi nel naso e con buchi nei polmoni grossi come palline da golf. Ma cosa mi stava succedendo… non riuscivo a rassegnarmi all’idea di poter rimanere lì per mesi. Aspettavo con ansia l’incontro con il primario per saperne di più sulla mia sorte. Quest’incontro avvenne il giorno successivo, con grande stupore sentii la seguente frase uscire dalla sua bocca: “ma lei, che c… ci fa qui? Domani mattina torna a casa”. Erano passati più di 30 giorni da quella famosa mattina passata al pronto soccorso. Scoprii alcune settimane dopo dal medico (nonché ormai caro amico) che mi ha seguito durante il periodo di cura (6 mesi) che avrei potuto tornare a casa sin dal primo giorno perché la mia tubercolosi non era mai stata contagiosa…!!!

Morale della storia: nessuno è invincibile, e la tubercolosi può colpire chiunque.

 

 

 

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