“L’ANELLO MANCANTE” di Anonimo

30/04/2020

 

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Quando scoprii di essere ammalata era ottobre e pioveva da giorni, ininterrottamente.

Mi chiamò l’ambulatorio dicendomi che erano pronti gli esami che avevo fatto altrove pochi giorni prima e che potevo ritirarli da loro.

Presi l’auto sotto la pioggia battente e imboccai la superstrada per arrivare in città. Il rumore della pioggia sul vetro e la lamiera era così intenso che gli unici brevi momenti di sollievo erano i passaggi sotto i radi ponti a scavalco delle due carreggiate.

Quando arrivai un po’ lo sapevo cosa avevo, in fondo che quel posto si occupasse di quella cosa non mi era ignoto. Mi accolsero una dottoressa e un’infermiera, entrambe giovani e gentili, e mi dissero che dovevo ripetere subito una lastra al torace per vedere se ero peggiorata rispetto alla precedente, che aveva attivato i successivi accertamenti. Poi avremmo discusso delle medicine da prendere.

Superai il fastidio di appoggiare il petto al macchinario radiologico gelido e mi feci il “secondo servizio fotografico” della mia malattia.

Poi tornai dalla dottoressa, lei stava già guardando le immagini, mi sorrise e mi disse: “vabbè dai, adesso oltre ai noduli c’è anche un buco! Nulla di grave però…”.

“Quanto grande?” domandai mentre tormentavo l’anello nuziale di mia madre che portavo ogni giorno da quando lei non c’era più.

Fece un altro sorriso e disse: “niente di che… più o meno come il suo anello!”. Poi proseguì e mi diede i farmaci che dovevo prendere spiegandomeli: la storia della rifampicina che colora di rosso urine e le lacrime, gli effetti collaterali possibili e tutto il resto che dovevo sapere.

L’infermiera alla fine mi diede un appuntamento e mi rimandarono a casa.

Quando arrivai mi tolsi l’anello e lo chiusi in un cassetto.

Non lo rimisi più per tutti i sei mesi della cura finché a marzo dell’anno dopo, pioveva di nuovo tanto ma la luce dietro l’acqua era diversa; mi dissero che ero guarita…

“E il buco?” chiesi.

“Ora è una pallina, piccola come una lenticchia…”.

Mi disse il medico che visitava quel giorno “… non se ne preoccupi più!”.

Quando tornai a casa ripresi l’anello dal cassetto, andai dal vecchio gioielliere di mia madre e, investendo anticipatamente i soldi del sussidio che mi spettava per la malattia, gli feci montare sull’anello una piccola pietra grande come una lenticchia, un rubino, rosso come la rifampicina che dall’altro anello mi aveva liberata.

 

 

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