27/03/2024
Ciao a tutti.
Sono Federica. Federica Cuccuru, abito a Pozzomaggiore, un paese in provincia di Sassari.
Racconto la mia esperienza per infondere speranza a chi è o potrebbe trovarsi nella mia stessa situazione. Certe storie sembrano tanto lontane da ciascuno di noi e invece sono proprio dietro l’angolo. Nessuno, e dico nessuno, deve considerarsi immune…
Tutto ebbe inizio nell’estate 2020, precisamente ad agosto.
Mare, sole e spensieratezza erano d’obbligo dopo un lungo periodo di chiusura e terrore dato dal Covid. E invece per me le cose andarono diversamente.
Un dolore sordo al fianco sinistro, paragonabile a quello intercostale, accompagnato da febbre, tosse, fiato corto, mi tenevano compagnia già da qualche giorno.
Sintomi, sicuramente, sottovalutati, pensando al solito “colpo d’aria”(dopo ovviamente aver escluso il Covid). Voltaren e antidolorifici furono la terapia “fai da te”.
Andai avanti così per una decina di giorni…
Il 21 agosto 2020 però, dopo una giornata trascorsa al mare facendo sabbiature presso una spiaggetta molto carina e rilassante a Noesala, convinta di poter trarre beneficio contro quel dolore che diventava sempre più insopportabile, come se avessi un coltello infilzato sul fianco: “l’inizio del calvario”. Ricordo nitidamente il rientro.
La rampa di scala necessaria per arrivare alla macchina, era interminabile.
Arrivai in cima con il cuore in gola e le gambe tremolanti. Sentivo che il fisico stava lentamente cedendo, era risalita anche la febbre. Mi spaventai tantissimo.
Proprio quel giorno decisi di andare in Ospedale. Dopo lunghe ore di attesa al Pronto Soccorso, fecero la prima diagnosi: “Polmonite paracardiaca sinistra”.
Tornai a casa in tarda notte, contenta, pensando di essere stata fortunata a non aver contratto il Covid, in quel periodo considerato il male assoluto. Mi diedero la terapia da fare raccomandandomi inoltre massimo riposo. Seguii tutto alla lettera, senza però nessun miglioramento… anzi!
Non riuscivo a stare sdraiata, né in piedi, nessuna posizione mi dava sollievo. La tosse, sempre più insistente, sommata a tutti gli altri sintomi, mi stavano indebolendo il corpo ma soprattutto l’anima…. stava venendo a mancare la forza di reagire.
A distanza di giorni si rese necessario il ricovero.
Era il 10/10/2020.
Analisi su analisi, tac, radiografie diedero un ulteriore diagnosi “Polmonite da Mycoplasma”, non tenendo conto, forse, di un piccolo particolare: l’esame del Quantiferon aveva raggiunto il livello massimo. Nessuno pensò, probabilmente, che il problema poteva essere proprio lì. Non fu possibile farmi da subito la broncoscopia (per via del Covid), così decisero di mandarmi a casa dopo 16 giorni di cure antibiotiche per via endovenosa con altri antibiotici da assumere in compresse sino al prossimo controllo.
-“Addensamenti polmonari, addensamenti polmonari”- questa parola rimbombava nella mia testa a ogni visita di controllo.
Le giornate chiusa in casa erano diventate tutte uguali, non al massimo delle forze ripresi a studiare. All’orizzonte c’era la Laurea Magistrale. Non potevo permettere alla febbre di prendere il sopravvento. Cosa che invece successe, e ad essa si aggiunsero le sudate notturne, la tosse persistente, vomiti, dimagrimento e dolore al fianco sempre più acuto tanto da diventare insopportabile.
Non mi restò altro da fare che preparare il borsone e tornare in ospedale e dopo una lunga e snervante attesa sulla barella mi ricoverarono.
Era il 20 gennaio 2021.
Stavolta dopo giorni di prelievi, esami accurati e terapie antibiotiche, decisero di farmi la broncoscopia e capirono da subito il male che mi affliggeva.
La diagnosi fu per me una doccia fredda: TBC. Un batterio, il Mycobacterium Tubercolosis, rinominato “Bacillo di Koch”.
Esclamai: Mio Dio, tubercolosi? Che malattia è? Ma non era scomparsa?
In Sardegna ci sono stati casi di tubercolosi? Siamo nel 2021, che roba è? C’è la cura?
E la laurea???
Ed ora come faccio a dirlo ai miei genitori? Tanto preoccupati, in particolar modo mia madre che trascorse notti insonni sempre al mio fianco.
Dovrò isolarmi e tenere sempre la mascherina?
E se ho contagiato qualcuno??
E il mio ragazzo???
Mille le domande che risuonavano nella mia testa sola soletta chiusa in una stanza di ospedale… ma non potevo permettermi il lusso di lasciarmi andare, dovevo reagire.
Mi aspettavano mesi di terapia ma a me poco importava, il mio unico pensiero era quello di guarire. Mi mandarono a casa con il carico di antibiotici, cortisone, vitamine e poi ancora analisi, visite, tac, radiografie che ormai erano la routine… avevo come la sensazione che senza di loro non potessi più vivere.
Cercavo di tenermi occupata con gli studi che riuscii, nonostante tutto, a portare a termine… e, il contratto a tempo indeterminato dove attualmente lavoro, fu il mio più bel regalo!!!
La felicità però durò ben poco: il mostriciattolo che mi teneva compagnia si era impossessato del mio polmone e parte della pleura. La diagnosi tardiva e l’assunzione di farmaci non corretti hanno rafforzato l’ospite al punto da farmi sviluppare una forma unica di Tbc farmaco-resistente (Mdr-Tb), impossibile da curare in Sardegna.
La cosa si complicava ulteriormente, anzi, era già complicatissima e non si sapeva come poteva evolversi. Disperazione più assoluta, mi trovavo in un lungo tunnel senza via d’uscita. Mi dissero che non c’era tempo da perdere e in fretta e furia organizzarono il ricovero a Sondalo, in Lombardia, presso l’ospedale Morelli (il Sanatorio più grande d’Europa, specializzato nella cura della Tubercolosi). Quel giorno, ricordo… quando mi chiamarono a rapporto per comunicarmi l’imminente partenza, provai un mix di emozioni, iniziai a tremare e alla disperazione si aggiungeva la lontananza dalla mia famiglia in caso di necessità.
Era il 30/03/2021.
Affrontai il lungo viaggio con la presenza del mio compagno.
Arrivati in vetta, a destinazione, sul cucuzzolo della montagna, giunse il momento dei saluti. Il cuore batteva a mille , mi avvolse tra le sue braccia e iniziai a piangere. Tentò di rassicurarmi dicendomi “stai tranquilla, va fatto, io sarò al tuo fianco”. In quel preciso istante capii che non sarebbe servito a nulla piangermi addosso, respirai profondamente e asciugai le lacrime. Non avevo altra scelta.
Entrai in ospedale e fui accolta con professionalità e la giusta dose di umanità che ad un medico e paramedico non deve MAI mancare (ausiliari compresi).
Accompagnata dall’infermiera attraversai un lungo corridoio fino ad arrivare alla stanza assegnata, alzai lo sguardo verso l’alto e vidi “ camera numero 3”.
I miei occhi brillarono, questo numero a cui sono particolarmente affezionata (è anche la mia data di nascita) mi ha sempre accompagnata nei momenti significativi della mia vita soprattutto in quel periodo in cui tutto era riconducibile al numero 3: visite, letto, ricoveri etc.; lo reputo il mio porta fortuna. Esplosi in pianto.
In quel preciso momento ricevetti la chiamata di mia mamma ma non riuscendo a parlare gliela chiusi poco dopo. Non volevo mi sentisse in quello stato. Io che ogni singolo istante cercavo di rassicurarla, rispondevo sempre con voce squillante perché capivo e immaginavo la sua preoccupazione e quanto la distanza fosse per lei difficile, ma non sempre mi era possibile farlo. I momenti di crisi erano inevitabili.
Per me era tutto nuovo, molto spaventata e ignara da ciò che mi aspettava, trascorsi la notte in allerta sola soletta, ogni minimo rumore mi incuteva timore. Alle 5 del mattino vennero le infermiere a prelevarmi il sangue, molto carinamente mi chiesero come avessi trascorso la notte ma la mia faccia parlava da sola. La preoccupazione era tanta.
In tarda mattinata si presentò il Dottore che mi parlò della situazione in cui mi trovavo. Con sincerità e tatto mi disse che era complessa ma che da subito avrebbe agito con una tosta terapia d’urto con farmaci costosissimi quali la Bedaquilina e altri (10/12 compresse al giorno più terapia per via endovenosa mattina e sera) con la speranza di una reazione positiva del corpo.
Il cocktail di farmaci mi facevano sentire debole ma iniziarono a dare gli effetti sperati. Mi dicevano: “forza che ce la faremo, stai rispondendo bene alla terapia”.
Trascorsi 40 interminabili giorni.
Feci amicizia con due ragazzi di colore, africani, che alloggiavano nelle camere vicino alla mia e l’unico momento in cui avevamo modo di interagire e scambiare due chiacchiere era la mattina nel poggiolo quando usciva il sole e potevamo respirare l’aria fresca e curativa, davanti a noi la montagna.
Ebbi persino la fortuna di vedere la neve!!
Ero l’unica italiana, tutti stranieri.. poi venne ricoverato un signore di una certa età del nord Italia.
Mi presi a cuore la sua situazione e quando potevo mi recavo in camera sua o veniva lui da me, scambiavamo due chiacchiere e facevamo la videochiamata a casa per sentire moglie e figli. I rapporti sono rimasti saldi tutt’ora, non manca occasione per sentirci.
Arrivò il giorno della dimissione. Ero incredula e frastornata, non riuscivo a realizzare quello che stava succedendo. Mi dissero di non pensare neanche minimamente di poter saltare il trattamento, era necessario essere costanti, precisi e continuativi con i farmaci. Si fidarono ciecamente di me.
Venne a prendermi il mio ragazzo, Francesco, affrontai il lungo viaggio assieme a lui, portando con me un fardello di medicine ma anche la speranza di una possibile guarigione, dovevo vincere la lotta.
Avevo trovato degli angeli, nelle loro mani e nel loro sapere, avevo riposto tutta la mia fiducia.
Ma, dopo un anno e tre mesi di terapia, giusto per non farmi mancare niente, si presentarono i primi effetti collaterali, abbastanza seri e quindi ulteriore ed ennesimo ricovero nuovamente a Sondalo. Dovetti sospendere tutta la terapia poi gradualmente iniziai a reinserire i farmaci per capire quale fosse quello che mi stava dando problemi. Fortunatamente risposi bene anche stavolta e al diciottesimo giorno tutti i parametri delle analisi, precedentemente scompensati, rientrarono nella norma, quindi mi spedirono a casa e continuai la terapia.
Era il 09/06/2022….
OGGI, sono grata alla vita e la ringrazio per avermi fatto conoscere e toccare con mano la sofferenza, quella che ti consuma fisicamente e mentalmente, e avermi insegnato l’arte del saper superare. Superare le distanze, i traumi, lo sconforto, la malinconia, le lacrime.
Superare le avversità facendo leva su un’unica cosa: “la forza interiore”.
Ecco che, dal giorno in cui sono nata, a distanza di 35 anni, la RINASCITA.
Senza sapere fosse il mio compleanno, la Dottoressa, mi programmò la visita di controllo a Sondalo, il “03-03-2023”. Sii, esattamente quest’anno. Data ricca di 3, quel numero a cui ero e sono strettamente legata, e dichiarò ufficialmente la mia GUARIGIONE raccomandandomi di portare a termine la terapia fino al 31 (fine del mese) per concludere i due anni esatti di cura. Regalo più bello non potevo ricevere. Certo, due anni di cure sono e sono stati stancanti. Ma senza come avrei fatto??? Ringrazio ogni santo giorno Dio che ha funzionato.
Ritengo che avere a disposizione nuove tecnologie e nuovi farmaci significa avere un trattamento più efficace che, in alcuni casi, fa la differenza tra la vita e la morte. E anche se il batterio mi ha lasciato segni indelebili che mi daranno filo da torcere, io non demordo.
Aggiungo anche che in tutta questa avventura, una cosa l’ho maturata: la convinzione che la vita è bella e preziosa, e vale la pena essere vissuta nonostante tutto. Mai avrei pensato di riuscire a farcela da SOLA (io che svenivo ogniqualvolta entravo in ospedale) pur ricevendo l’affetto di tantissime persone a me care e vicine.
Ahimè la Tbc non solo non è scomparsa, ma è ancora oggi una delle più diffuse e complesse malattie infettive al mondo e una delle prime cause di morte se non curate bene.
A voce alta dico che IO ce l’ho messa tutta e ce l’ho fatta.
Ho lottato, fino all’ultimo, e ho vinto.
Con affetto,
Federica