Volevo fare il pasticcere – Faccini

27/03/2024

Sono P……..g, vi scrivo da qui dove sono ora, un posto un po’ fuori mano. Non so perché sto scrivendo, sta il fatto che Sayed, il mio amico istruito perché ha studiato, mi ha consigliato di farlo ma non so scrivere bene, io volevo fare il pasticcere.

Sayed che sa tante cose e mi fido di lui, mi ha detto che scrivere la mia storia può essere utile. Non ho mai pensato nella mia vita di essere utile tranne che per la mia famiglia ma fino ad un certo punto, perché se utile vuol dire portare il pane a casa mi sembra il minimo per un uomo.

Ma io neppure questo sono riuscito a fare.

Dunque, mi chiamo P……..g e sono nato nello Sry Lanka, una terra lontana che quando ne parlo agli altri mi dicono che è un posto meraviglioso, pieno di palme e profumi di spezie. Ma se non ci siete mai stati, che ne sapete? Certo che è un bel posto, come è bello qualunque luogo dove si viene al mondo. che sia un palazzo istoriato, una capanna di fango o un misero appartamento ammobiliato oppure un villaggio pieno di bambini scalzi.

Da noi non si nasceva in ospedale e se la vita ti lasciava vivere sembrava bello, ma non era bello, era brutto. Una vita di stenti, senza palme e nella ciotola una manciata di riso che doveva bastare per tutti e il profumo di spezie era una voglia di fame. Così decisi di lasciare il mio paese e arrivai in Italia. 

Un mio amico italiano mi ha detto che a scuola di suo figlio hanno fatto una ricerca sulle migrazioni e i bambini pensavano che gli immigrati arrivano tutti con il barcone, come si vede alla TV quando le persone con giubbotti gialli che si illuminano al buio aiutano gli stranieri con grandi occhi bianchi a scendere a terra. 

Io sono arrivato in Italia in aereo con regolare biglietto comprato con i soldi che avevo guadagnato come aiutante nel negozio di dolci “zia Klava” del villaggio. Mi piacevano i dolci ma quelli che mangiano i ricchi, avevo visto nella fotografia di un giornale dell’altro mondo una torta alta 5 piani bianca come la neve, azzurra come il cielo e con dei riccioli d’oro. Non avevo desiderio di mangiarla ma di scolpirla come uno scultore che la vede prendere forma sotto le sue mani, unica e irripetibile. Ma che ne sapevo allora che ero un ragazzo di costruirmi un futuro? Io volevo fare la torta di 5 piani e la sognavo ogni ora. 

Dove mi trovo ora non mi devo preoccupare del tempo, io non ci ho mai pensato al tempo, Sayed ha cercato di spiegarmelo ma quando questi arabi, che hanno inventato i numeri e l’astronomia si incaponiscono nelle spiegazioni, vado in confusione. In Sry Lanka il tempo è musica, è il fluire di un fiume più che il battito di un orologio, però Sayed che ne sa una più del diavolo, dice che la musica è matematica e questa proprio non la capisco.

Musica o matematica, quando si è poveri si fanno tante cose in una volta e senza pensarci, lavoravo da “zia Klava” e mi sono sposato con Amal, la cosa più bella della mia vita e volevo fare una torta di 10 piani con angeli di zucchero e nuvole di meringhe.

Scusate, ogni tanto perdo il filo del discorso e non sempre seguo la cronologia degli eventi, ma è una roba moderna avere l’ossessione del tempo e pensare che così è tutto sotto controllo e forse per questo che si è inventato internet, per conoscere tutte le cose che accadono nel tempo reale ma a me questa parola, internet, mi fa venire in mente il tempo eterno e mi viene un brivido.

Dunque, sono arrivato in Italia, a Milano. Ho fatto tanti sacrifici, è stata dura, ma io e Amal ci siamo fatti un sogno grande che ci sembrava di poterlo toccare. A Milano trovai lavoro quasi subito, pasticcere! Il mio capo mi diceva che faceva fatica a trovare italiani disposti a lavorare dalla mattina presto alla sera tardi e di sabato e a volte anche la domenica perché si dovevano servire matrimoni, battesimi, comunioni, nozze d’argento e d’oro. Ero bravo nel mestiere, il mio capo mi diceva anche che noi stranieri non abbiamo grilli per la testa, che facevo fatica a capire cosa volesse dire perché nel mio paese i grilli si mangiano, fritti, e casomai si poteva dire grilli per la bocca ma intuivo che non c’entrava nulla con quello che intendeva il mio capo. 

Con i primi stipendi affittai un appartamento e Amal mi raggiunse e fu così che dopo un anno nacque nostra figlia, perché noi poveri facciamo tante cose insieme e non ci importa del tempo giusto per farle.

Non so perché e come mai, non c’era motivo ma succede lo stesso, credo che sia dentro di noi come una sfortuna, che cominciai a bere. Ma un solo bicchiere, l’ultimo che poi era sempre il primo. All’inizio mi faceva stare bene, parlavo di più, bevevo quando arrivavo a casa tardi, poi nelle pause del pomeriggio, poi anche al mattino. Intanto mia figlia cresceva e portavo il pane a casa nel nostro appartamento a Milano e facevo torte di 5 piani. Ero felice e bevevo, ero triste e bevevo. Fino a quando facevo fatica ad alzarmi dal letto e arrivavo tardi al lavoro e non riuscivo a fare le torte di 5 piani perché crollavano prima e a tornare a casa perché mi vergognavo. Non tornai più a casa. Trovai altre persone come me, gli uomini si trovano sempre tra di loro, anche quando non si reggono in piedi e si pisciano addosso. A unirli è l’ossessione del bere, quella brama che ti divora dentro e che riconosci nei tuoi simili. 

La mia famiglia non mi ha mai abbandonato. Amal mi veniva a cercare. Adesso non ci penso più ma era uno strazio e anche una rabbia vederla arrivare nella piazza che era diventata la mia dimora all’aperto. Mi portava a casa, mi lavava e faceva da mangiare, mi dava la sciroppo perché avevo la tosse, ormai da qualche tempo. Ero come stranito e felice quando tornavo a casa, ma sapevo una cosa sola, che una sola cosa mi aspettava senza chiedere niente, senza guardarmi con odio o amore, era l’ultimo bicchiere. Ritornavo nella piazza e continuavo a tossire, ma per uno come me non voleva dire niente. Un giorno ho conosciuto Sayed, un tipo riservato, si vedeva che era capitato li per sfortuna. Mi offrì di dormire con lui, aveva costruito una specie di letto di cartone con il sotto e il sopra. Sul cartone c’era scritto Ikea con il disegno di un letto grande. Abbiamo dormito insieme tante volte che poi non era un dormire ma una sospensione dal bere. Una notte mi sono svegliato per un forte colpo di tosse e ho sputato sangue sulla coperta di cartone. Ho preso un po’ di acqua dal bidone che Franco, il benzinaio, ci lasciava a disposizione e ho cercato di lavarla ma non è venuta via bene. Era buono Franco, aveva la pompa di benzina nella piazza. Al mattino mettevamo il cartone ben piegato in un posto riparato vicino al gabbiotto di Franco e ognuno andava per la sua strada.

La mia giornata era semplice, senza pretese: un giro verso il metrò o al mercato per racimolare qualche soldo per comprare l’ultima bottiglia e appisolarmi poi sulla panchina. Qualche volta andavo a mangiare alla mensa dei poveri. Di pomeriggio, ogni tanto, andavo al bar del quartiere, per lo più stazionavo fuori perchè le persone come noi non sono ben viste ma quando pioveva il barista chiudeva un occhio e faceva finta di niente se entravo. Fu in un giorno di freddo e nebbia che al bar conobbi Carlos. Carlos era in carrozzina perché non si muoveva se non a scatti, apriva la bocca ma non parlava. Era invalido, grande lo era ma sembrava ancora un ragazzo. Veniva al bar accompagnato da una donna piccola ma secondo me non era la mamma e lo lasciava lì per qualche ora, “lascio Carlos per un po’”, diceva la donna al barista. Con Carlos ci parlavo anche se lui non capiva, ma siamo sicuri che le persone non capiscono solo perché non parlano? Gli dicevo quanto è difficile fare un pan di spagna morbido e spugnoso di rhum da ricoprire con uno specchio di cioccolata e crema di albicocche che si arrampica per 5 piani.

In quel periodo stavo sempre più male, ed era passato del tempo, perché avevo la TBC.

Sayed che è un sapientone mi ha spiegato che la TBC è una malattia lenta, al che gli ho subito chiesto se era una specie di tumore perché io invece ricordavo che quando ero piccolo sono stato molto male ed ero diventato tutto giallo, ma così all’improvviso e poi era passato.

Ero curioso di sapere dove avevo preso la TBC perché come diceva Sayed è una malattia contagiosa che per me vuol dire che uno l’attacca ad un altro, quando si entra in contatto stretto, precisa Sayed, cioè se sei un amico di uno che ha la TBC.

La TBC è una malattia dell’amicizia? Non dire stronzate, mi ammonisce Sayed.

Allora Sayed, dove l’ho presa? 

Il germe della TBC entra nei polmoni con l’aria, sputato da uno che è ammalato. Quando entra si fa la tana nel polmone ma tu non te ne accorgi, si mette li buono e zitto e dorme o, meglio, sonnecchia perché il suo è un dormiveglia. A me il pensiero di un microbo che si mette a fare la nanna nel tuo polmone con gli occhi socchiusi un po’ mi fa tenerezza e un po’ mi spaventa. E poi cosa succede? Niente di niente per tanto tempo e il più delle volte per sempre e tu muori senza averlo mai saputo. Sayed non divagare troppo, dove ho preso la TBC? Non lo può sapere nessuno, risponde, la cosa più probabile è che l’hai presa in Sry Lanka quando eri bambino, perché è un paese a rischio epidemiologico essendo ad alta endemia.

Quando usa queste parole difficili mi vengono i nervi, ma ho capito che in Sry Lanka ci sono tanti malati che sputano la TBC e per questo l’ho presa anch’io. Oppure, aggiunge Sayed, te l’ha attaccata il passeggero che era seduto a fianco a te in aereo quando eri in volo verso l’Italia. No, vabbè, può essere tutto allora, il fatto è che in medicina non ci sono certezze per cui vale la cosa più probabile, dice Sayed. E dopo? Dopo cosa è successo? E’ capitato che il germe si è svegliato perché ti sei messo a bere e a vivere dove capitava e a dormire al freddo, come io del resto, spiega Sayed. Siamo stati dei pirla a rovinarci la vita, aggiunge Sayed, che essendo istruito ha imparato anche delle parole strane che si dicono a Milano, a me piace questa parola, pirla, e ridiamo come matti.

Quando si sveglia la TBC non è che ti senti così male da subito e così tu, che non lo sai di averla, la attacchi ad altri e il germe continua a diffondersi e a vivere che è poi il desiderio di tutte le forme viventi.

Scusate se mi dilungo ma qui la vita è lenta come la TBC e non abbiamo fretta perché niente ci distrae. Dopo la notte con lo sputo di sangue, stavo sempre più male e oltre alla tosse facevo fatica a respirare.

Poi è andata via la luce e mi sono svegliato in un letto vero con tanti dottori con il camice intorno a me che mi visitavano, respiravo un po’ meglio perché avevo una specie di imbuto sulla bocca. Ero sporco, con la barba lunga, le unghie nere e mi vergognavo in mezzo a tutto quel bianco. Mi facevano domande ma non sapevo rispondere e neppure potevo perché mi sentivo debole e con il fiato corto e un dolore al petto. In tasca avevo la tessera per andare a mangiare nella mensa dei poveri ma era tutta sgualcita, c’era scritto il mio nome ma rovinata com’era la carta, il dottore sbaglia a trascrivere il mio nome: P……..q invece di P……..g.

Nel frattempo, alla scuola elementare che si trova nella piazza dove stavo io scoppia il panico perché si scopre che un bambino di seconda ha la TBC. Io che c’entro, penserete voi, il microbo mica vola e io sto lontano dai bambini, mi vergogno a farmi vedere da loro.

Sayed mi spiega che quando c’è un caso di TBC intervengono quelli della Sanità, che sono dei dottori e infermieri ma senza camice. Loro vogliono sapere tutto dei malati di TBC, chi hanno visto e dove e per quanto tempo, fanno un sacco di domande che chiamano inchiesta perché assomiglia a quella della polizia, ma loro non sono poliziotti e per la TBC non bisogna arrestare nessuno ma solo scoprire chi uno l’ha attaccata ad un altro. Il bambino malato è italiano e non è mai stato in un paese epidemiologico, i suoi genitori sono sani e così tutta la sua famiglia. La squadra della Sanità allora cerca tra gli insegnati, anche quelli andati in pensione l’anno scorso perché sanno che la TBC è una malattia lenta, ma non scoprono niente. Allora a tutta la classe seconda fanno il test Mantoux che è una punturina sulla pelle del braccio che si gonfia se nel polmone c’è il germe della TBC che dorme ma che nel frattempo ha messo in allarme le sentinelle del corpo e il gonfiore è il segnale delle sentinelle che il microbo c’è. Quattro bambini risultano positivi. Quelli della Sanità stentano a crederci perché non è possibile che il bambino malato abbia attaccato il germe essendo il suo polmone troppo piccolo per sputare fuori i germi. La TBC è un enigma e per risolvere i rebus a volte serve una intuizione che viene ad un altro dottore della Sanità, che ha però il camice. Prende il germe del bambino e lo fa confrontare con quelli presenti nell’archivio del laboratorio, perché i germi hanno un codice che si chiama DNA che li distingue, e scopre che è uguale a quello di un altro caso che si chiama P……..q che poi sarei io ma con il nome sbagliato. Quando Sayed mi ha raccontato la prima volta questa scoperta, quasi non ci credevo e un po’ mi sentivo importante e un po’ in colpa. Il dottore della Sanità con il camice informa i suoi colleghi senza camice che si scatenano a cercarmi per fare l’inchiesta, ma a noi barboni ci chiamate invisibili che vuol dire che non riuscite a trovarci. 

Ma loro non demordono, l’ospedale li aveva avvisati che io avevo la TBC anche se con il nome sbagliato, e che ero nato in Sry Lanka, perché così è riportato sulla tessera per la mensa dei poveri.

Questi della Sanità vanno a parlare con il console dello Sry Lanka e scoprono che il nome P…….q non esiste nel paese mentre esiste P……..g, e tornati in ufficio verificano che a nome P……..g c’era un caso di TBC di qualche tempo indietro ed era mia figlia e gliela avevo attaccata io quando ritornavo a casa. Dall’inchiesta con mia moglie scoprono che io stavo nella piazza anche se è tanto che non mi vede, nel frattempo i casi di TBC nella scuola aumentano tutti i giorni perché si faceva il test delle sentinelle a tutta la scuola. A mia moglie dicono anche un’altra cosa ma la riporto dopo altrimenti perdo il filo e la vicenda adesso si fa serrata.

Mentre a scuola i genitori (e sono centinaia) sono in preda alla paura e la notizia finisce su tutti i giornali e la preside, poverina, non si capacita come mai quella sventura sia capitata proprio nel suo Istituto che è uno dei migliori della città, quelli della Sanità si inventano un’altra cosa, perché la TBC è un rebus che va risolto.

Una mattina presto due di loro piombano nella piazza e cercano noi, i barboni invisibili. Su questo posso essere molto preciso perché io non c’ero ma Sayed era lì e mi ha raccontato tutto per filo e per segno. 

Dunque, i due arrivano e dicono ai barboni che sarebbe utile fare una fotografia ai polmoni e offrono 5 euro a testa per convincerli. Sayed che ha studiato vorrebbe accettare subito ma Salvatore che si dava arie di capo clan prende tempo, anche se i suoi occhi brillano al pensiero dei 5 cartoni di vino che poteva comprare. Era mattino presto e meno male perché se i due fossero arrivati più tardi non si sarebbe concluso niente perché sarebbero stati tutti in “gaina” che in milanese vuol dire ubriachi perché si muovono ciondolanti e con la sguardo perso che hanno le galline. Salvatore tira sul prezzo e quando l’offerta arriva a 10 euro sono tutti belli e pronti per salire sul pulmino che li porta in una villa dove lavora quello della Sanità con il camice che gli fa le fotografie ai polmoni. Sayed ha la TBC, i suoi polmoni sono pieni di buchi e lo fa ricoverare in un ospedale in montagna dove Sayed si trova molto bene e mangia tre volte al giorno tutti i giorni. Lui la chiama la vacanza nella montagna incantata perché ha letto il libro di uno scrittore tedesco che parla della TBC sulle montagne.

Apro una parentesi: anche il codice DNA del germe di Sayed è uguale a quello del mio, non ci sono dubbi che glielo attaccata io anche se avrei preferito che l’avesse presa nel suo paese epidemiologico. Sayed, ma alla fine cosa è risultato dall’inchiesta di quelli della Sanità, con e senza camice?

Lui che è bravo con i numeri mi snocciola i dati: su quasi 1.000 alunni della scuola, 15 bambini sono risultati ammalati e 173 bambini infetti, cioè avevano nei loro polmoni il germe dormiente e hanno dovuto prendere una medicina per alcuni mesi perché le sentinelle del corpo dei bambini sono piccole anche loro e il germe si può svegliare più facilmente. A questi si aggiungono altri casi di una scuola media vicina che avevano frequentato la scuola elementare negli anni precedenti, per cui il conteggio sale a 200 contagiati, 188 alunni e 12 insegnanti. Alcuni di questi bambini infetti si sono ammalati dopo anni perché i loro genitori non hanno voluto dargli le medicine perché pensavano non fossero necessarie visto che stavano bene, ma se uno della Sanità dice che è meglio prenderle bisogna fare così. 

Se a me avessero fatto il test delle sentinelle quando sono arrivato in Italia, dato che provenivo da un paese epidemiologico, avrebbero scoperto che avevo il germe della TBC e se mi avessero dato le medicine le avrei prese e tutto questo non sarebbe successo. Si chiama prevenzione, ammonisce Sayed. E se quelli della Sanità fossero venuti prima in piazza a farci fare le fotografie ai polmoni io che avevo la tosse magari l’avrei fatta o forse no se ero ubriaco, ma si poteva provare e anche questa è prevenzione, sbuffa Sayed.

Tra gli alunni ammalati c’era anche Carlos perché anche lui andava a scuola, non per imparare ma per stare insieme agli altri, aveva 17 anni quando faceva la quinta elementare ed era invalido. E tutti i bambini gli volevano bene e lo coccolavano e lui in carrozzina era proprio nella posizione giusta per sputare i germi della TBC ai bambini che si trovavano all’altezza della sua bocca: nella sua classe il 91 % dei bambini è risultato infetto, nelle due classi adiacenti oltre il 50%. Anche lui era ammalato da tanto tempo ma nessuno se era accorto perché non poteva parlare e dire che stava male e aveva la bocca sempre aperta che non si poteva capire se avesse la tosse.

Io avevo attaccato la TBC a Carlos al bar e lui l’aveva attaccata a tanti bambini nel giro di diversi mesi perché la TBC non ha fretta e più si è amici più si attacca. Avevo attaccato la TBC anche a mia figlia e a Sayed e magari a qualcun altro che non sappiamo.

Se volete saperne di più di come sono andate le cose potete leggere il racconto (articolo, mi corregge Sayed) che quelli della Sanità hanno scritto in inglese e mandato in America con tanto di strani disegni (grafici, dice Sayed) in modo che tutti i dottori del mondo possano studiare cosa è successo ed evitare che capiti anche da loro.

Avevo fatto una strage e mi sentivo un po’ in colpa, ma il mio prezzo l’ho già pagato.

Della vita non si butta via niente e tutto può essere utile, come il maiale, dice Sayed e scoppia a ridere perché lui è mussulmano e il maiale non lo mangia. Adesso ho quasi finito e forse vi chiedete dove siamo, io e Sayed.

Non è un vero e proprio luogo perché qui non è necessario dare un nome alle cose.

Siamo morti, tutti e due. 

Sayed è arrivato dopo di me, ma la sua storia, se vuole, ve la racconterà lui che io già faccio fatica a dire la mia. Io e Sayed ci vediamo spesso, che non è proprio di persona perché qui è diverso, quando abbiamo voglia di sentirci muoviamo lo sguardo interno e l’altro appare e allora parliamo e ridiamo perché lui è bravo a fare le battute. Qui sentiamo quando qualcuno ci pensa e mia moglie e mia figlia hanno sempre un pensiero per me perché quello che conta è volersi bene e il bene non ha inizio e fine e collega la vita alla morte per sempre.

Dimenticavo, ecco cosa la squadra della Sanità aveva detto a mia moglie durante l’inchiesta: avevano saputo che ero morto in ospedale e che il Comune, non avendo trovato parenti, mi aveva sepolto nel campo degli sconosciuti del cimitero. Ora però risolto l’inghippo del nome, mia moglie poteva recuperare la mia salma e darne sepoltura in grazia di Dio con tanto di fotografia e nome giusto sulla tomba, e portarmi anche un fiore come ha fatto questa mattina.  

 

P.s. questa è una storia vera in tutto e per tutto, ho solo romanzato un po’ qualche aspetto della vita terrena, per prendermi delle libertà. Avevo anche scritto i nomi veri dei protagonisti ma Sayed, che è pignolo fino alla morte, mi ha detto di non farlo perché nel vostro mondo c’è una legge che si chiama privacy che non lo consente e io, anche se non la capisco questa legge, mi sono adeguato.

Scusate se non ho scritto bene, ma volevo fare il pasticcere e non lo scrittore.

Sayed dice che l’importante è scrivere con sincerità e con il cuore e così ho fatto. 

Articoli correlati

Cerca



Newsletter

accetto la privacy